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Il ricordo di Diego Maradona

Siamo giunti al quarto anniversario dalla scomparsa di Maradona, il più napoletano tra gli argentini che vive nel ricordo di chi l’ha visto ma anche nella mente dei giovani tifosi che ne sentono parlare e guardano i video per ammirarne la grande maestria nel gioco del calcio

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Ho preferito scrivere di sera per parlare di Diego Armando Maradona.

Ora che i peana e le apologie si sono consumate possiamo guardare al grande campione argentino di nascita e napoletano per elezione unanime con uno sguardo più sereno, meno celebrativo ma più realistico possibile.

Maradona è stato un sogno che noi napoletani realizzammo in una tarda notte estiva quando un emittente televisiva batteva la notizia che scorreva sul video ripetutamente.

Io che mi trovavo al mare ricordo che ci guardammo in faccia tutti i presenti pensando ad un’antesignana di quelle oggi si chiamano fake news.

Raggiunsi il telefono e chiamai un amico che sapevo potermi dire se la notizia fosse vera. Il telefono era occupato ma alla fine la mia insistenza fu premiata.

Era vero. Antonio Juliano, si deve alla sua testardaggine se per sette anni abbiamo ammirato sul terreno dell’allora San Paolo e personalmente dappertutto giocare con la nostra maglia il più grande giocatore del secolo passato e chissà forse anche di questo secolo, c’era riuscito e l’astuzia dell’Ing. Corrado Ferlaino, all’epoca presidente, completò l’opera.

Non pensammo allo scudetto, né alle vittorie che poi sarebbero puntualmente arrivate. Eravamo felici di vederlo da vicino, di sentirlo come uno dei nostri, di sapere che ci avrebbe regalato giocate che da nessuna parte si sarebbero mai viste.

Eraldo Monzeglio

Eraldo Monzeglio, Il campione del mondo di Roma e Parigi che divenne allenatore del Napoli

Eraldo Monzeglio e la sua previsione 

Fu così. Maradona diventò napoletano, noi diventammo argentini e lo scudetto arrivò finalmente a Napoli, sconfessando Eraldo Monzeglio che da allenatore della squadra azzurra aveva preconizzato che la cosa non sarebbe mai accaduta.

Il doppio campione del mondo, tanto caro a Vittorio Pozzo, veniva da Vignale Monferrato in provincia di Alessandria, e si racconta cosa avesse detto, dopo un allenamento al Vomero mentre con la squadra tornava in ritiro in un albergo di San Martino, ad un gruppo di tifosi che gli chiedevano quando il Napoli avesse vinto lo scudetto.

«Qui – disse – o si parla di scudetto o si pensa che finiremo in B. Non c’è coerenza. Entusiasmo alle stelle o depressione. Una vittoria vi porta alle stelle, un pareggio vi deprime… Ci vuole equilibrio e ci vuole pazienza…».

Maradona mise tutti d’accordo: vittorie tante, pareggi qualcuno, sconfitte poche. Niente più depressione ne stelle da raggiungere ma classifiche da scalare. Ed un sorriso che ne mostrava sempre il suo carisma, la sua capacità di essere non un capitano ma il capitano che tutti i compagni volevano.

Un amore per la città nonostante tutto e un sentimento di vicinanza con i tifosi che non lo abbandoneranno mai, neanche dopo oltre tre decenni, ci manca dal 1991.

Il campione ha sempre qualcosa in più, qualcosa di connaturato. Oggi è raro trovare, forse impossibile, un giocatore di quella classe al servizio della squadra, dei suoi compagni, del suo pubblico con un legame unico che gli fece dire ad un certo punto che si sarebbe potuto vincere di più ma che non era stato possibile per una serie di fattori.

Maradona ai Quartieri Spagnoli

Il Calcio Napoli ai Quartieri Spagnoli per ricordare Maradona

Il Calcio Napoli ricorda il grande campione

Ieri mattina il Calcio Napoli, nelle persone del presidente Aurelio De Laurentiis, Antonio Conte e Giovanni Di Lorenzo hanno inteso omaggiare il grande campione a 4 anni dalla scomparsa visitando e portando fiori prima al murales dei Quartieri Spagnoli, realizzato nel 1990 da Mario Filardi e più volte restaurato, e poi a San Giovanni a Teduccio dove c’è il Maradona, cosiddetto di San Giovanni, di Jorit Agoch, artista napoletano di origini olandesi.

Maradona di Jorit Agoch

Il Maradona di San Giovcanni a Teduccio come è chiamata l’opera di Jorit Agoch

La presenza di De Laurentiis è significativa. Il presidente che si è anche segnato durante la visita ha compreso, in questi anni alla guida del Napoli, che nulla può scardinare dai cuori dei tifosi napoletani il ricordo del grande campione. E l’ha compreso rapidamente anche Antonio Conte che prima che la sua squadra scenda in campo allo stadio è aduso toccare il piede della statua del grande Diego, quasi come un segno beneaugurante.

Il ricordo personale più vivo però che ho io di Diego Maradona si rifà ad una serata di Monaco di Baviera. Nella gara di ritorno della Coppa Uefa, dopo che il Napoli in rimonta aveva battuto il Bayern 2 a 1 al San Paolo, accade quello che per me sembrava impossibile.

Era il 19 aprile del 1989 la serata era freddina ma asciutta e sugli spalti gremiti dai tifosi bavaresi scorrevano fiumi di birra, folta la rappresentanza napoletana. Ero con un gruppo di amici e speravamo che il Napoli superasse il turno, la gara di Napoli aveva aperto il cuore alla possibilità concreta che la cosa accadesse.

Nei giorni precedenti la partita per le vie di Monaco e nelle edicole si sentivano e si leggevano cose di tutti i colori su Diego Maradona. I tedeschi avevano paura ed avevano ragione.

Per il solito riscaldamento Maradona scese in campo senza le scarpe che portava dietro di lui il fido Salvatore Carmando. Il rumore assordante dei fischi lo accolse superando i decibel della musica che veniva suonata sotto la curva bavarese. Si infilò le scarpette e senza legare i lacci si fece dare un pallone ed inizio la sua danza di palleggi.

Dopo i primi decise di seguire la musica spostandosi senza far mai cadere il pallone verso il centrocampo e seguendo il ritmo della band sul palco e alzando il pallone sempre di più. I fischi si fermarono e dopo qualche secondo il pubblico tedesco, noi già eravamo in visibilio, si lasciò andare in un applauso inaspettato.

Questo era Maradona. Portava allegria tra chi non sa ridere per abitudine. Portava gioia nelle case di tutti i napoletani che dovevano fare i conti per sbarcare il lunario. Esportava il senso di squadra tra i suoi compagni senza mai dire sono il capitano. Giocava per il piacere di farlo e lo faceva quasi sempre talmente bene che non volevi mai che la partita finisse. Con lui in campo c’era una speranza, come per esempio a Udine, il 14 gennaio del 1990, quando il Napoli era sotto 2 a 0 al all’88° e in due minuti pareggiò la partita con un suo rigore ed una rete di Corradini.

Era l’anno del secondo scudetto e Maradona anche se arrivò in ritardo quell’estate senza andare in ritiro fece cose splendide.

Ci sarebbero tanti altri ricordi ma basta così. Diego Maradona è stato unico e penso che non sarà ripetibile, mi si permetta il paragone che a qualcuno sembrerà blasfemo, come ad esempio Leonardo, Mozart, Van Gogh, Michelangelo, Giotto, Caravaggio etc.