La querelle sul Massimo napoletano

Dichiarazioni, imprecisioni, voglia di primeggiare utilizzando un bene storico ed un simbolo della città sul quale invece bisognerebbe investire tutti insieme per presentare un programma all’altezza del teatro, della sua tradizione e della città

Il Real Teatro di San Carlo, il più antico lirico d’Europa, fu fortemente voluto da Carlo di Borbone che lo inaugurò la sera del 4 novembre del 1734. Oltre allo sfarzo e alla bellezza degli arredi per l’epoca presentava una serie di innovazioni e di pregi stilistici tali da far impallidire le altre corti del continente e resta tuttora probabilmente il vero simbolo di una Napoli capitale europea. L’allestimento con i palchi a perdita d’occhio, il gran palco reale al centro della sala e il comodo accesso dal palazzo reale al teatro furono imitati da altri lirici come ad esempio la Scala di Milano e La Fenice di Venezia ma solo qualche decennio dopo. Per la nostra città non rappresentava certo una cattedrale nel deserto.

Napoli in quel periodo era culturalmente molto attiva e contava già numerosi teatri e ben quattro conservatori che sfornavano talenti in continuazione. Il San Carlo andò a prendere il posto del teatro San Bartolomeo, vecchio teatro lirico non più idoneo a gestire il nuovo fermento che attraversava il mondo della musica e in particolare dell’opera, anche sotto il profilo coreografico e scenografico. La sinergia tra le scuole di musica e il lirico fu molto apprezzata dai compositori dell’epoca come Haydin e Handel ma anche da Mozart che definì Napoli città che canta e incanta traendo anche qualche ispirazione per una delle sue opere più famose: Così fan tutte.

Ben presto la fama di questo luogo si diffuse in Europa e nel tempo tutti i grandi personaggi della musica e del balletto sono passati per il San Carlo: da Gluck a Verdi, da Rossini a Puccini, da Paganini a Rubinstein, da Von Karajan a Muti, da Nurejev a Bolle.

Questo tempio dell’arte e della musica è stato inoltre un costante riferimento culturale per la città anche in periodi convulsi. Durante la rivoluzione napoletana del 1799 divenne luogo di ritrovo per artisti e intellettuali mentre nella seconda guerra mondiale non interruppe mai la sua attività nonostante la tragedia che si viveva. Infatti fu il primo teatro lirico del mondo ad andare in tournée alla fine del conflitto con esibizioni al Covent Garden di Londra nel 1946.

Ma ci sono stati ovviamente anche i momenti bui nella storia del nostro massimo, come l’incendio del 1816 che lo distrusse completamente con la ricostruzione che lo rese ancora più splendente di prima. Purtroppo qualche ombra però vi è anche in questo periodo, considerata la recente querelle che ha trovato ampio spazio sui mezzi di informazione.

Come tutti i luoghi d’arte in Italia la sua tutela è affidata alle istituzioni, in primis al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, alla Regione Campania e al Comune di Napoli. Tecnicamente si tratta di una Fondazione i cui principali soci sono appunto i rappresentanti delle tre istituzioni citate: Il ministro Dario Franceschini, Il governatore De Luca e il sindaco Manfredi. Alla gestione dell’ente provvede il sovrintendente Stephane Lissner in carica dal primo aprile del 2020, proveniente dall’Operà National de Paris, che vanta un curriculum di tutto rispetto tra l’altro con un lungo periodo trascorso alla Scala a Milano come sovrintendente. Questi personaggi hanno recentemente dato vita ad un chiacchiericcio poco edificante e poco rispettoso della storia del San Carlo.

I venti di guerra già soffiavano da un po’ a causa di una polemica sorta tra Lissner e il maestro Muti che aveva comportato la cancellazione di alcuni eventi che vedevano protagonista il famoso direttore d’orchestra.

Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la nomina di Emmanuela Spedaliere a Direttore Generale del San Carlo accompagnata da un aumento rilevante della retribuzione. Tra i soci presenti nella fondazione la Regione Campania è quella che contribuisce finanziariamente in maggiore misura al mantenimento del teatro per cui la nomina ha fornito il pretesto al governatore De Luca per minacciare il taglio dei fondi erogati dalla Regione, accompagnando la paventata decisione con questa dichiarazione: «Riteniamo che, al di là delle questioni statutarie, sia intollerabile che in una situazione di difficoltà economica, con lavoratori in cassa integrazione, qualcuno abbia lo stomaco di portarsi lo stipendio a 150mila euro e nominare figure inutili, senza informare nessuno, neanche la Regione. Se qualcuno immagina di continuare a concepire il teatro San Carlo come una bottega privata si sbaglia. Negli anni scorsi è stata messa in piedi una logica di ricatto: siccome il San Carlo è un bene di valore mondiale, possiamo fare quello che vogliamo tanto continueranno a finanziarlo. Bene, ho voluto comunicare a tutti che il tempo dei ricatti è finito».

Secondo alcuni osservatori la mossa della Regione avrebbe come obiettivo reale proprio Lissner che De Luca non vedrebbe di buon occhio anche per il suo cattivo rapporto con il maestro Riccardo Muti che è invece un mito per il nostro governatore, come si evince da questa altra sua dichiarazione: «Noi abbiamo un sovrintendente non italiano, mentre il più grande e famoso direttore d’orchestra al mondo è un nostro concittadino, ma lavora fuori. Abbiate pazienza… Nell’ambito di questa operazione di trasparenza sul San Carlo, ci starebbe un dialogo con Riccardo Muti. Magari si potrebbero fare scelte più serie e rispettose e non avere più a che fare con gente che pensa di avere atteggiamenti di strafottenza con i soldi degli altri. Chi vuole essere strafottente deve impegnare il suo patrimonio di famiglia, non i soldi della Regione Campania».

Chiamato in causa, il Ministero ha precisato che non vi è stato alcun illecito e nulla va addebitato a Lissner visto che la proposta di nomina del Direttore Generale risaliva al 2019 ed era relativa alla gestione del precedente sovrintendente Rosaria Purchia. Chi nella vicenda ha mantenuto un profilo molto basso è stato il sindaco di Napoli, anche se nella attuale legislazione è Presidente della fondazione che gestisce il teatro proprio il sindaco della città dove si trova il teatro.

Ciò ha dato altro spago a De Luca per rimarcare che il contributo annuale della Regione ha oscillato tra i 10 e i 12 milioni di euro mentre quello del Comune si attesta intorno ai 600.000 euro. Secondo De Luca se il San Carlo fosse una Spa, alla regione come socio di maggioranza spetterebbero nomine e programmazione, invece oggi come oggi la regione mette solo i soldi, tra l’altro asserendo che si tratta del triplo di quello che assegna la regione Lombardia alla Scala senza avere alcuna voce in capitolo nella gestione.

Se non si trova una soluzione si rischia un nuovo commissariamento del San Carlo e sarebbe vergognoso. Il sindaco Manfredi ha fatto un appello per lavorare tutti insieme al fine di trovare soluzioni efficaci e condivise per stabilizzare finanziariamente il teatro e non far gravare tutti i costi sulla regione. La strada indicata dal primo cittadino è quella di aprire ai contributi dei privati, imprenditori o società, che potrebbero usufruire di un regime di defiscalizzazione per quanto versato per il mantenimento del teatro. Questa modalità è già in essere alla Scala di Milano dove il contributo da parte dei sostenitori ammonta a più del doppio di quanto ricavato dalla vendita di biglietti e abbonamenti.

Si tratta di un’ipotesi che potrebbe concretizzarsi proprio nel momento giusto, visto il commovente abbraccio sul palcoscenico tra le due protagoniste dell’Aida, una russa e una ucraina, a suggellare l’assunto che la cultura è pace perché unisce. Il contributo dei napoletani potrebbe anche aprire la strada ad un miglioramento dei rapporti tra l’attuale sovrintendente ed il maestro Muti che potrebbe tornare a dirigere dal podio del San Carlo.

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