La scena politica ed economica mondiale sta registrando una serie di cambiamenti epocali, sempre più radicali e sempre più rapidi, che stanno già determinando e che continueranno a produrre profondi mutamenti culturali e sociali.
Gli scenari internazionali
Il conflitto in medio oriente con la disastrosa situazione umanitaria della striscia di Gaza, la guerra in Ucraina che, aldilà di ogni considerazione sulle eventuali colpe del governo di Zelenski, evidenzia le pericolose mire espansionistiche di Putin, gli Stati Uniti che sotto la guida di Trump sembrano orientati ad abbandonare il ruolo storico di alleati dell’Europa per perseguire esclusivamente i propri interessi nazionali, sono le più gravi ma non le uniche questioni che si trova ad affrontare l’Europa, chiamata a compattarsi e ad individuare strategie comuni per tutelare i propri confini e i propri cittadini.
In questo contesto, è evidente che prima ancora della convergenza di vedute e della unione di intenti tra i Paesi Ue sia indispensabile che ogni Stato europeo segua al proprio interno una linea chiara e, seppur nelle inevitabili ed anzi democraticamente auspicabili differenze di vedute tra i diversi schieramenti esistenti, condivisa.
Il dibattito della politica italiana
Nel nostro Paese finora nulla di tutto questo è avvenuto. Anzi, nell’ultimo dibattito parlamentare che avrebbe dovuto proprio definire la posizione dell’Italia di fronte alle enormi criticità politico-economiche mondiali, la nostra premier ha preferito innescare una polemica, peraltro prontamente accettata e rilanciata dall’opposizione, sul Manifesto di Ventotene scritto nel 1941 da cittadini confinati sull’isola dal fascismo.
Le dichiarazioni della Meloni sul Manifesto di Ventotene, come già evidenziato sulle nostre pagine dal direttore Giovanni Gaudiano, sono state un abile “diversivo” proposto dalla Premier per distogliere l’attenzione dalle questioni di attualità riguardanti tutti i cittadini, e soprattutto dalle decisioni prese (o non prese) per affrontarle.
Ma la strategia utilizzata dalla Premier non fa altro che rispecchiare la scarsa capacità della nostra classe politica di uscire dalla logica delle fazioni: i nostri politici sembrano rivolgersi esclusivamente ai propri elettori, e non al Paese, e non riescono ad avere (o non vogliono avere) una visione di respiro nazionale, e in questo caso internazionale, che possa garantire e tutelare, andando oltre le fisiologiche differenziazioni ideologiche, l’interesse di tutti i cittadini.
La difesa europea
In questi giorni politicamente concitati, il Consiglio Europeo, pur con le differenze e i “distinguo” presenti al suo interno, si è espresso a favore di “un’accelerazione dei lavori su tutti i filoni per potenziare in modo decisivo la prontezza dell’Europa alla difesa nel corso dei prossimi cinque anni” (valutando in un quinquennio il periodo in cui la Russia potrebbe essere pronta ad attaccare i Paesi Baltici e la Polonia), con l’intenzione anche di favorire una graduale transizione all’interno della NATO dalla leadership americana a quella europea.
La coalizione dei volenterosi
Inoltre, un gruppo di Nazioni ha ritenuto di organizzarsi in una coalizione (i cosiddetti “paesi volenterosi”) per continuare a fornire aiuti militari all’Ucraina e garantire la futura sicurezza dell’Europa “post-americana”.
In materia il Governo Italiano non si è espresso con una posizione netta, diviso tra la Lega che si è da sempre schierata con Putin e gli altri partiti di maggioranza che non possono stare con il leader russo, e anche nell’opposizione non è stata raggiunta una posizione condivisa circa l’opportunità di creare una difesa europea.
La guerra dei dazi
Anche in tema di economia, è evidente che la politica dei dazi di Donald Trump (peraltro definita dallo stesso Wall Street Journal, quotidiano finanziario favorevole a Trump, “una stupida guerra commerciale”), che minaccia di mettere in discussione tutto il sistema economico internazionale, richieda una risposta univoca da parte della UE.
Non possono essere i singoli Stati ad affrontare una offensiva di tale portata, e tutti i Paesi europei, aldilà delle singole posizioni ideologiche dei loro governi, dovrebbero avere l’obiettivo comune di difendersi dall’attacco di Trump nella consapevolezza che secondo i Trattati Europei la politica commerciale è di competenza esclusiva della Commissione Europea.
Donald Trump e Giorgia Meloni
Anche su questo tema, il governo italiano non dà la sensazione di sapere cosa fare, se non far passare il messaggio che il rapporto personale tra Giorgia Meloni e Donald Trump potrà salvare i rapporti tra Stati Uniti e UE.
Nonostante la ferma reazione di Messico e Canada abbia già obbligato Trump a ridurre le sue minacce di dazi nei loro confronti, e la UE mostri (anche se in via per ora solo embrionale) la volontà di reagire alla politica commerciale di Trump, la nostra Premier propone di far desistere il presidente americano dai suoi propositi protezionistici nei confronti dell’Europa semplicemente rispondendo “senza rappresaglie”.
In sostanza, il governo italiano in quella che si preannuncia come una vera e propria guerra commerciale non sta con nessuna delle due parti, né propone strumenti credibili per evitarla, senza tenere in conto il fatto che gli interessi delle famiglie e delle imprese italiane in questo frangente devono essere difesi e tutelati dallo Stato essenzialmente con una fattiva partecipazione alle strategie europee.
La visione particolaristica della nostra politica
Come si diceva più sopra sembra mancare del tutto, e questo però vale anche per lo schieramento politico di centrosinistra, una visione comune di ampio respiro che, andando oltre le particolarità dei nuclei ideologici dei singoli partiti, sia in grado di far partorire ai due opposti schieramenti politici linee politiche nazionali e internazionali che siano in grado di tutelare, pur nella diversità delle ideologie, i bisogni e gli interessi di tutti i cittadini.
Si parla più al proprio specifico elettorato, insomma, che non a tutti i cittadini per i quali si ha la responsabilità di governare.
Come ha scritto brillantemente oggi sulle colonne del Sole24Ore il politologo Sergio Fabbrini, “il governo si comporta come se fosse all’opposizione, con il risultato che siamo senza il primo mentre abbondiamo della seconda”.