Una vetrina che guarda il mare

Maurizio Marinella parla del docufilm, della Sirena Partenope, di come Massimiliano Gallo e Francesco Pinto gli abbiano proposto questo lavoro che è un riconoscimento ad oltre 100 anni di attività costruiti in simbiosi con la città

L’appuntamento è al negozio e non potrebbe essere altrimenti, ma la chiacchierata con Maurizio Marinella la facciamo al secondo piano di Palazzo Ravaschieri di Satriano in alcuni locali bellissimi dove sorgerà il museo della maison. L’entrata e la scalinata del palazzo sono splendide e consentono a Maurizio Marinella di raccontare come gli scalini siano stati volutamente costruiti, sino ad un certo punto, più bassi perché pare che il principe salisse ai suoi appartamenti utilizzando il cavallo. Un flash del tempo che fu e un interno del palazzo, oltre ovviamente alla facciata, che dà lustro alla nostra città per la sua bellezza e imponenza.

 

Iniziamo a parlare del docufilm che racconta la storia della sua famiglia chiedendo a Maurizio Marinella quale sia stata la sua prima reazione quando gli è stata proposta la realizzazione di questo lavoro.

«Si è trattato per me di una novità assoluta. Il tutto è nato da un’intervista che abbiamo registrato con Shalana Santana che, nonostante venga da un mondo tanto diverso, si è molto emozionata al mio racconto. L’intervista ha avuto un certo seguito perché, anche se abbastanza lunga, era condita da aneddoti anche relativi ai personaggi che hanno frequentato il nostro negozio. Massimiliano Gallo ha visto il lavoro di Shalana e l’ha condiviso con Francesco Pinto. Ci siamo incontrati e mi hanno offerto di portare sullo schermo questa storia che hanno definito bellissima. Mi hanno motivato questa loro intenzione spiegandomi che abitualmente le storie sono frutto di fantasia magari mista a realtà, ma in questo caso sarebbe stato naturale raccontare la nostra storia come si è dipanata nel tempo».

Cosa è successo a questo punto?

«Francesco Pinto (l’ex direttore del Centro di Produzione Rai di Napoli ndr) ed io ci siamo incontrati più volte e gli ho raccontato la storia della mia famiglia. Mi ha proposto a questo punto di strutturare una rappresentazione diversa della nostra storia, agganciandola a quello che in questi oltre cento anni di nostra attività è accaduto a Napoli. Si è trattato di costruire una sorta di binario con in parallelo le vicissitudini che la città e noi abbiamo dovuto affrontare. Il risultato è stato un percorso di Napoli visto attraverso gli occhi di Marinella con questa famosa vetrina che guarda il mare».

A proposito, chi ha deciso di titolare Una vetrina che guarda il mare il lavoro diretto da Massimiliano Gallo?

«Lo abbiamo deciso insieme io e Francesco Pinto, una persona di grande cultura e grande spessore. L’ispirazione l’abbiamo avuta pensando alla volontà di mio nonno di aprire questo negozio in una posizione dalla quale si potesse sempre guardare il mare». Il design delle cravatte Marinella è inconfondibile. Quanta soddisfazione prova quando nella vita di tutti i giorni incontra persone (in un ufficio, in un negozio, per la strada, in un teatro etc.) che indossano una sua cravatta?

«È una cosa che faccio automaticamente quella di guardare la cravatta ovunque mi trovo. Mi sembra di poter dire fammi guardare la tua cravatta e ti dirò chi sei. Si tratta di un procedimento che adottiamo anche in negozio per servire meglio i clienti che ci fanno visita. La sensazione di vedere le mie cravatte in giro è in ogni caso bellissima ed è soddisfacente vederla indossata dai personaggi che spesso vediamo in televisione».

Le trasformazioni sociali dal secondo dopoguerra sono state rapide. L’eleganza, il segno distintivo dell’appartenenza, il gusto per il bello, anche se c’è chi tende a sottovalutarlo, rimangono canoni importante. Perché secondo lei?

«Credo ci sia stato un decadimento sensibile nel gusto. Nella nostra storia abbiamo avuto modo di incontrare e conoscere persone che si vestivano in funzione di quello che avrebbero fatto nel corso della giornata. Si soffre vedendo delle esagerazioni di chi si veste senza considerare il senso del decoro in alcuni luoghi che lo richiederebbero, un esempio per tutti il Teatro San Carlo. Credo che l’eleganza sia principalmente un senso di rispetto per le persone, i luoghi. L’eleganza non vuole essere una costrizione ma ritengo che sia giusto considerarla come un suggerimento, un’indicazione in modo da potersi presentare in ogni occasione in maniera adeguata».

Che scelta è stata quella di far raccontare la storia alla Sirena Partenope?

«Ci doveva essere una figura narrante e quindi abbiamo deciso di affidare il compito alla Sirena e non abbiamo avuto dubbi su chi sarebbe caduta la scelta, perché Shalana aveva tutte le caratteristiche».

Qual è stata la sensazione che avete provato nel vedere raccontata la storia della vostra famiglia? Vi è sembrato che il tempo sia passato in fretta o invece hanno prevalso i tanti anni di lavoro, di impegno vissuti per realizzare quello che forse inizialmente poteva sembrare un sogno?

«Come dicevo, per me è stato molto bello finora vivere quest’emozione e non ho mai sentito alcun peso. Certo oggi, forse anche per l’età, vivo con un po’ di sofferenza il progresso che ci ha portato anche ad un tipo di rapporto telematico che per me resta incomprensibile, essendo stato abituato da sempre all’accoglienza. Diciamo che spingere un pulsantino e ricevere il giorno dopo la cravatta mi crea una piccola dermatite allergica (sorride ndr)».

A proposito la FIAT 850 non sarà mica quella originale con la quale ha raccontato di aver fatto diversi viaggi per esportare le vostre creazioni?

«No. Ricordo che partivo, andavo a trovare i nostri clienti e dovevo fermarmi spesso perché aveva problemi di surriscaldamento. Penso che insieme alla Duna sia tra le macchine più brutte realizzate dalla Fiat ma all’epoca ha svolto il suo compito».

Quanto l’ha aiutata essere stato uno sportivo praticante prima ed un dirigente ad alti livelli dopo nella quotidianità della gestione della sua azienda?

«Lo sport in generale è formativo e se parliamo della pallanuoto che è fatta di sacrificio, di impegno, di pesantezza, si gioca praticamente spalla a spalla con l’avversario per l’intera partita, forse lo è un po’ di più. Giocavo prevalentemente in difesa perché non ero un grande nuotatore. Il mio periodo è stato un periodo d’oro per la pallanuoto. Debbo dire che l’aver praticato sport mi ha aiutato molto nella mia attività, penso alla capacità di relazionarmi con gli altri, all’impegno necessario per essere sempre all’altezza, al sacrificio che dovevo fare per trovare il tempo per allenarmi. È stata una palestra importante, mi ha dato una grande impostazione».

Tra due anni la maison compirà 110 anni. L’eleganza, il gusto, la raffinatezza, la gentilezza nell’accoglienza sono stati segni caratteristici della vostra attività. Avete pensato di proporre qualcosa che ricordi l’evento a tutti quelli che partiranno da ogni parte del mondo per entrare nel vostro negozio?

«Non mi sono ancora dedicato a pensare all’appuntamento con questo traguardo ma mancano ancora due anni e sicuramente studieremo qualcosa. Mi affiderò all’inventiva tipica del nostro essere napoletani e qualcosa di sicuro salterà fuori».

Ci sarebbe da parlare della scuola degli antichi mestieri e dell’artigiano napoletano, progetto lungimirante lanciato da Maurizio Marinella che sta compiendo i primi passi. È un’iniziativa importante, si può dire fondamentale per la città. Ed allora saluto Maurizio Marinella fissando un successivo appuntamento per dedicare all’argomento un nostro mirato ed ampio intervento.

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